DEPOSITO TEMPORANEO: il reato di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi

La sentenza n. 15450/2023 è stata resa a seguito del ricorso proposto dagli imputati avverso la sentenza del Tribunale che li ha ritenuti responsabili  – in concorso tra loro – del reato di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi (art. 256 comma 1 lett. a) TUA),  perché, “in qualità di proprietari e titolari del permesso di costruire, depositavano, in maniera incontrollata e in assenza di autorizzazione, rifiuti speciali non pericolosi, consistiti in 300 metri cubi di terre e rocce da scavo, provenienti dai lavori realizzati in forza del suddetto permesso di costruire sul terreno di proprietà dei medesimi titolari del titolo edilizio”.

Con il ricorso, gli imputati hanno lamentato – tra le altre cose – la violazione di disposizioni di legge penale con riferimento al D.lgs 152/2006 art 183 c1 lett bb) TUA – che detta la definizione di deposito temporaneo prima della raccolta e, nel farlo, richiama l’art 185-bis, che elenca le condizioni affinché siffatto deposito possa dirsi tale e, dunque, essere esente dalla necessità di apposita autorizzazione – e del Dpr 120/2017, art 21 e 23, contenenti la disciplina del deposito temporaneo con riferimento alle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti.

La Corte non ha accolto la censura relativa alla disciplina del deposito temporaneo prima della raccolta, osservando, quanto ai limiti temporali previsti dalla normativa, che “Peraltro, nel tentativo di ricondurre la durata del deposito delle terre e rocce da scavo entro il termine massimo di un anno, la difesa mostra di non confrontarsi con il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui il deposito temporaneo, in tema di gestione illecita di rifiuti e nell’ipotesi in cui gli stessi superino – come nel caso di specie – il volume di 30 metri cubi, ricorre solo nel caso in cui il raggruppamento dei rifiuti e il loro deposito preliminare alla raccolta, ai fini dello smaltimento, non abbia avuto durata superiore a tre mesi (…).”.

Inoltre, è sato affermato che “il deposito, per poter essere considerato “temporaneo”, deve essere necessariamente realizzato presso il luogo di produzione dei rifiuti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore (…)”.

Pertanto, i Giudici hanno stabilito che “poiché il deposito di 300 mc di terre e rocce da scavo si è protratto per un periodo superiore al trimestre, ed è avvenuto in luogo diverso da quello di produzione (ed a questo non funzionalmente collegato), non può trovare applicazione nel caso di specie la disciplina legislativa in tema di deposito temporaneo, con la conseguenza che deve considerarsi illecito il suddetto deposito perché avvenuto in assenza di autorizzazione”.

Quanto alla qualità di rifiuto del materiale, la Corte, infine, ha affermato che “(…) ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 120 del 2017, perché le terre e rocce da scavo possano essere qualificate come sottoprodotti è necessario che il loro utilizzo avvenga sulla base di un “piano di utilizzo” (di cui all’art. 9, d.P.R. n. 120 del 2017) o di una “dichiarazione di utilizzo per cantieri di piccole dimensioni” (di cui all’art. 21 d.P.R. n. 120 del 2017), documenti non rinvenibili nel caso in esame. (…)”.

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